15. aprile 2011
di Renato Caprile, la Repubblica
Le Corbusier la definì la città più brutta del mondo nella posizione più bella. Un giudizio in parte ingeneroso, certamente dettato dalle circostanze. Agli occhi di Le Corbusier si parò infatti una città...
di Renato Caprile, la RepubblicaLe Corbusier la definì la città più brutta del mondo nella posizione più bella. Un giudizio in parte ingeneroso, certamente dettato dalle circostanze. Agli occhi di Le Corbusier si parò infatti una città che le bombe avevano più e più volte sfregiato. Certo Belgrado non è Parigi e meno che meno Roma. È grigia come certi suoi cieli d'autunno. E d'inverno addirittura scura. Scura come il Danubio quando piove, il grande fiume che per la gente di qui è una delle poche "strade" senza polvere. Belgrado grigia e scura dunque, ma brutta no. Tutt'altro.
Ha fascino da vendere questo pezzo d'Europa, e non solo per la sua splendida posizione. L'irresistibile fascino della sua storia, delle sue sconfitte, delle sue rughe, delle sue contraddizioni, dei suoi eccessi, delle sue intemperanze, dei suoi amori mai tiepidi, della sua graffiante ironia. E di questa ironia Good morning Belgrado, programma radiofonico di Dusko Radovic, ne era un fulgido esempio: «Oggi il sole ha di nuovo riscaldato Belgrado - così Radovic iniziava il suo quotidiano racconto - perché nessun altro ha voluto farlo. Chi ha avuto la fortuna di nascere qui, stamattina può ritenere di aver già fatto abbastanza nella propria vita. Ogni ulteriore pretesa sarebbe un eccesso di ambizione...».
Perfetta sintesi della città e dell'essere belgradesi. Ecco perché nessuna capitale europea come Belgrado può essere tutto e il contrario di tutto. E mostrare addirittura il suo essere snob, perché Belgrado è anche snob, quando in molti, come al tempo delle bombe della Nato, la volevano in ginocchio. «Si dava il rossetto alla labbra - annotò al riguardo il poeta francese Patrick Besson - parlava in maniera nasale e non degnava mai di uno sguardo quel cielo che da un momento all'altro poteva precipitarle addosso». Più snob di così. Distaccata, cosmopolita - è difficile trovare a Belgrado chi non sia capace di esprimersi in una lingua che non sia il serbo- multietnica e soprattutto tollerante. Tollerante nei confronti di chi ti fuma addosso, di chi beve come una spugna, di chi stramangia, di chi occupa per ore un tavolo in un bar avendo ordinato niente altro che un caffè. Qui il tempo scorre più lento che nelle nostre città. Nessuno sembra avere mai fretta e tutti sembrano sempre disponibili a fare quattro chiacchiere. Certo c'è la crisi, qui più che altrove, ma la gente ci è abituata.
Troppe guerre e privazioni nel passato recente per non godere di questa "vacanza" anche se di soldi ce n'è pochi. Per ridere, piangere, vivere insomma. Spesso eccedendo, va detto, ma i serbi sono così. Bianco o nero. Amici o nemici. Estremi sempre. In politica, nello sport, nelle loro tormentate questioni di cuore. Ciò detto, se la domanda è: da dove iniziare un ipotetico viaggio dentro Belgrado, la risposta non può essere che una. Dall'alto. Dalla roccia che domina la confluenza della Sava col Danubio. Dove sorge la Fortezza e il Kalemegdan che fu il centro storico di Belgrado sempre occupato da costruzioni militari, tranne una breve parentesi di due secoli, tra il VII e il IX e oggi sede di diversi musei. Per poi proseguire verso Ulica Knez Mihailova, la zona pedonale in cui sono concentrati gli edifici più rappresentativi della città, il lascito di quella sorta di Belle époque che visse Belgrado alla fine dell'Ottocento.
(16 marzo 2011)